mercoledì 21 novembre 2007

Second Life

si può evadere dalla realtà?
forse no, o forse solo per poco.
però vale la pena di provarci perché anche poco è sempre meglio di niente...

Carlo e Anna erano una coppia come tante; vivevano insieme da otto anni e conoscevano ormai tutto l'uno dell'altra.
Avevano molte cose in comune: la razionalità, la tendenza alla monogamia, il senso del dovere, la buona educazione; tutti e due passavano la giornata dietro a uno sportello, lei all'ufficio postale e lui in banca.
E dividevano quasi tutto: l'appartamento, le abitudini, le spese, e una Hyundai che avevano acquistato quando si erano messi insieme.

Era una macchina solida la vecchia Hyundai: sempre a disposizione, mansueta e con poche, pochissime esigenze.
Certo, ogni tanto aveva qualche acciacco, ma davvero niente di sconvolgente, più una noia che un vero problema. La carrozzeria non era più lucida e smagliante come una volta, questo è vero, ma non si poteva fargliene una colpa, niente resiste allo scorrere del tempo che crudele e implacabile toglie smalto a tutto quello che tocca.
Un giorno, improvvisamente, la Hyundai si fermò: Carlo e Anna la fecero vedere dal meccanico che si era preso cura di lei fin dal primo tagliando, ma neanche lui riuscì a capire cosa le fosse successo; in realtà non c'era niente di rotto, ma tutto era ormai usurato e consunto. La Hyundai era morta senza essere mai stata veramente ammalata.
Succede. Succede alle macchine, alle persone, alle relazioni...

Poche sere dopo che la Hyundai era passata a miglior vita, Carlo e Anna invitarono a casa alcuni amici, tutte coppie della loro età, tutti senza figli e senza grilli per la testa proprio come loro. Le solite cene, le solite facce, le solite chiacchiere.
Stavano bevendo il caffè quando qualcuno parlò di Second Life, il gioco di ruolo più famoso di Internet. Nessuno ne sapeva molto per la verità, ma forse proprio per questo ognuno disse la sua. Soprattutto sul risvolto morale. Fu una bionda vagamente anoressica a innescare la diatriba, ripetendo a pappagallo il concetto trito e banale secondo il quale si tratta soltanto di un patetico rifugio per frustrati che cercano di evadere dalla monotonia della loro vita reale trasformandosi in eroi virtuali. Come molti concetti triti e banali, anche questo divenne presto un dogma che fece presa sul resto della compagnia, e ognuno si lanciò con entusiastica saccenteria in una psicanalisi di massa dei milioni di partecipanti di quel gioco a loro pressoché sconosciuto.
Carlo e Anna non dissero niente. Ma il mattino dopo decisero che si sarebbero concessi la loro personale, e non certo virtuale, Second Life. Per rinnovarsi e per rinnovare il loro rapporto. Per ritrovarsi e per ritrovare le emozioni di un tempo.
D'altra parte Oscar Wilde in persona ha detto che spesso la nostra vera vita non è quella che viviamo.

Si presero un mese di ferie dal lavoro, si salutarono con gli ormai consueti due baci sulle guance e si dettero appuntamento dopo una settimana esatta in quella che sarebbe stata la loro nuova vita.

Si costruirono i loro avatar. Per la verità si mutarono nei loro avatar.
Anna si sottopose a una estenuante sessione di trucco e parrucco, tagliò i capelli, li arricciò e li tinse di un rosso infiammato e infiammante. Mise lenti a contatto di un misterioso e profondissimo verde. Iniettò gocce di silicone nelle labbra. Abbandonò i jeans e le scarpe comode per gonne attillate e tacchi a spillo. Acquistò della biancheria tutta pizzi e merletti e buttò nella spazzatura i reggiseni sformati e le mutandine un po' stinte che fino a pochi giorni prima avevano fatto parte dell'arredamento di casa, disseminati ad asciugare sui termosifoni. Eh no, non era stata il massimo del sex-appeal ultimamente.
Carlo si rasò i capelli ormai radi, sostituì gli spessi occhiali da vista con delle lenti a contatto nere e lucenti come l'onice, si spogliò di giacche e cravatte per fasciarsi in jeans scoloriti e magliette senza maniche che mettevano in mostra i suoi muscoli ancora miracolosamente intatti. Lesse libri sul corteggiamento e sul sesso, due arti nella quali era sempre stato tanto goffo quanto banale. Noleggiò chilometri di video porno e si sottopose a ore e ore di estenuanti lezioni pratiche con delle signorine compiacenti. Quando capì dove si trovava esattamente il fantomatico punto G seppe di essere pronto.

Anna decise di chiamarsi Sharon, si proprio come Sharon Stone, e di diventare sexy e intrigante, provocante e misteriosa come la diva che ha trasformato un semplice movimento delle gambe in un cult dell'erotismo. Si calò nella parte con la determinazione di una imitatrice professionista: modulò la voce abbassandola di diversi toni; imparò a giocare con gli sguardi: occhi socchiusi e appannati per un invito sussurrato, senza veli e senza battiti di ciglia per una aperta provocazione; sorrisi enigmatici e poche dosatissime risate di gola; sigaretta incorniciata da lunghe unghie laccate, fumo aspirato con languore ed espirato con lentezza; movenze da gatta e pose da pantera.
Carlo decise di chiamarsi George, si proprio come George Clooney, e di diventare sensuale e vagamente gigione come l'uomo che qualsiasi donna accoglierebbe nel proprio letto anche senza Martini. Assunse un'aria pigra e un po' sorniona, e poi provò e riprovò davanti allo specchio degli sguardi che la smentissero; affidò al suo sorriso una illusione di innocenza e ai suoi occhi una promessa di peccato. Alla fine della trasformazione emanava un sex appeal sottile e irresistibile come solo il sex appeal sussurrato e apparentemente inconsapevole sa essere.

La sera dell'incontro Sharon e George erano emozionati e trepidanti come due adolescenti.
Si incontrarono in un ristorante al lume di candela e ricominciarono tutto daccapo.

Comprarono una macchina nuova, una cabrio rossa come i capelli di Sharon. Era così diversa dalla vecchia Hyundai, così eccitante, così desiderabile, così tutta da scoprire.
Per Sharon e per George fu un piacere voluttuoso esplorarla scoprendo a poco a poco tutti i suoi optional, ed esplorarsi l'un l'altra scoprendo vizi e virtù fino ad allora sconosciuti.
Conobbero la potenza del motore della cabrio e l'intensità della libidine dei loro corpi. Accarezzarono la vernice lucida della macchina e la loro pelle lucida di sudore. Ascoltarono il boato degli otto cilindri e i sussurri e le grida delle loro bocche.
Ritrovarono il piacere di svelarsi a poco a poco e la curiosità di imparare a conoscersi più intimamente in un alone di mistero che rendeva intriganti e dense le loro conversazioni.
Riscoprirono il piacere del sesso, quello vero, quello affamato e trasgressivo e quello tenero e prolungato, quello che rende generosi e insaziabili, che fa dare e ricevere con la stessa passione e con lo stesso godimento.
E furono corse a velocità folle sull'autostrada del mare con il vento che arruffa i capelli e la ragione, e lunghe nuotate di corpi nudi e vogliosi, carezze audaci e bagnate come i loro pensieri, baci salati e profondi come l'oceano.
Furono gite oziose nelle campagne, e soste in piccole locande dal sapore antico, amplessi languidi e voluttuosi e lunghe ore pigre nel letto.
Furono incursioni spericolate nelle notti metropolitane, cene al lume di candela e notti folli in discoteca.
La vita di Sharon e George era di nuovo lo specchio della loro macchina, ma questa volta si trattava di una cabrio perdio, di una cabrio che filava a 300 all'ora!
Si, la loro Second Life stava andando alla grande.

Ma si sa che il destino prende e dà a suo piacere. E in una notte di follie e sregolatezze la cabrio slittò sull'asfalto bagnato e andò a schiantarsi sul guardrail.
Varie contusioni e qualche osso rotto per Sharon e per George, e una inesorabile rottamazione per la cabrio.
All'ospedale li medicarono, li fasciarono, li steccarono, li ingessarono, ma niente potettero fare per curare la ferita che lacerava i loro cuori al pensiero che la loro compagna di vita e di avventure era ormai soltanto un groviglio di lamiere, un ammasso di ricordi più dolorosi dei rimpianti.
Sharon, sotto choc e priva di trucco e di mistero, cercò gli occhi di George.
George, spaventato e senza più artificiosità espressive, cercò gli occhi di Sharon.
Gli occhi si incontrarono e si riempirono di lacrime, le braccia si tesero in un abbraccio consolatorio e fraterno. E nella drammatica infelicità che li univa, George mormorò “Anna” e Sharon bisbiglio “Carlo”.
Di nuovo Anna. Di nuovo Carlo.
Nei loro occhi passò veloce un'ombra di stupore, e poi una breve scintilla di speranza subito spenta dalla fuliggine della capitolazione. La cabrio e le follie dell'ultimo mese si erano mangiati tutti i loro risparmi, non ci sarebbe stata nessuna altra macchina per loro.
Si guardarono confusi, paventando una conferma e bramando una smentita al loro sgomento.
Ma la rassegnazione che era tornata ad allagare i loro occhi non lasciava vie di scampo: non ci sarebbe stata nessuna Third Life per loro. Avevano sfidato la vita e avevano perso, con buona pace del signor Oscar Wilde.
Non c'era ormai più niente che potessero fare. La loro storia era rimasta imprigionata nella carcassa della cabrio, e proprio in quel momento una pressa le stava trasformando in uno sterile blocco di metallo, insieme e per sempre.

1 commento:

wendy ha detto...

"si può evadere dalla realtà?
forse no, o forse solo per poco.
però vale la pena di provarci perché anche poco è sempre meglio di niente..."

un racconto scritto molto bene, sotto tutti gli aspetti.
E dopo averlo letto come si può... non provarci?